Terminata la fase più emergenziale possiamo fare una valutazione di cosa ci sta lasciando la pandemia a livello professionale.
Il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia e l’Italia è stata protagonista. Primo tra i paesi occidentali ad accorgersi della presenza del SARS-CoV-2, ha avuto un degenero della situazione molto preoccupante tanto che l’11 marzo viene poi pubblicato il “Decreto #IoRestoaCasa”.
Da quel momento abbiamo assistito alla trama di un film catastrofico che ci ha visto protagonisti: tutti chiusi in casa, in alcune zone della Lombardia non c’era famiglia che non avesse avuto un familiare o un amico deceduto per COVID-19, i sistemi sanitari al collasso e gli operatori sanitari in prima linea in una condizione di notevole incertezza e con carichi di lavoro mai visti prima.
Posso rispondere alla domanda dal mio osservatorio; ho avuto l’opportunità di seguire molti colleghi tramite chat, email, social ecc., oltre a vivere direttamente alcune situazioni che si sono venute a creare.
Il mio punto di vista è che l’emergenza ha mostrato in pieno lo stato della nostra professione.
Quando è scattata l’emergenza abbiamo assistito all’attivazione di molte colleghe e colleghi con grande senso di solidarietà. La psicologia si è messa a disposizione della comunità per offrire supporto alle vittime e agli operatori sanitari.
Gli elementi positivi del tessuto professionale degli psicologici sono ravvisabili nelle stesse azioni delle psicologhe e degli psicologi. Abbiamo rilevato un moto solidale e una voglia di occuparsi e di essere utili che contraddistinguono le professioniste e i professionisti psicologi.
Decine e decine di colleghi pronti a dedicare parte del proprio tempo e del proprio sapere per alleviare un momento di intensa sofferenza per tutti.
In questa situazione, però, si sono visti anche tanti limiti della professione.
Si parla tanto di “psicologia dell’emergenza” ma non si sa bene dove questa stia di casa, ogni associazione o libero professionista reclama a sé il domicilio ma nel momento dell’emergenza, quando devi correre a riparti a casa, non sai a quale uscio bussare.
Se da una parte le discipline mediche sono più facilmente attivabili e coordinabili perché legate per la grande parte al Sistema Sanitario Nazionale come dipendenti o accreditati, le discipline psicologiche vagano per costellazioni privatistiche di associazioni e liberi professionisti che le nostre istituzioni pubbliche non possono coordinare.
Risulta molto esemplificativo il numero verde attivato al Ministero della Salute. Guardando come viene presentato notiamo che non rispondono solo psicologi, ma anche “professionisti specializzati…psicoanalisti”. Come dire che c’è una galassia di professionisti che si vuole distinguere dallo psicologo portando il proprio orientamento. Nulla di male ma la frammentazione è chiaramente un punto debole nel riconoscimento della categoria.
Scopriamo, inoltre, che “ del primo livello fanno parte più di 500 psicologi (e gli altri elencati nel titolo?) dell’emergenza che fanno parte di Associazioni del Volontariato della Protezione Civile: Federazione Psicologi per i Popoli, Società Italiana di Psicologia dell’Emergenza, Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, Centro Alfredo Rampi”.
Sono associazioni correttamente accreditate alla protezione civile e che riportano a una branca della professione (“psicologia dell’emergenza”) che formalmente non esiste, altro grande limite della nostra professione.
Al “secondo livello” di intervento scopriamo che sono state prese le società scientifiche accreditate per contribuire all’emanazione delle linee guida e buone pratiche in campo sanitario. Va benissimo, e ci fa capire che dal punto di vista ministeriale non ci sono altri contenitori da cui attingere in caso di necessità di psicologia. Tanto che sono arrivate critiche miopi dalla conferenza nazionale per la salute mentale che rivendicano un ruolo dei servizi di salute mentale pubblici che però, a mio parere, sono incapaci di gestire un servizio come quello proposto e lo vede dai numeri degli accessi.
Al numero verde del Ministero nei primi 7 giorni hanno telefonato più di 30.000 cittadini! Sebbene anche i servizi di salute mentale pubblici abbiano proposto servizi gratuiti, il numero verde ha incontrato un successo importante.
Questo ci dice tanto, tantissimo, sul bisogno di psicologia dei cittadini e ci conferma quello che già risultava palese da una ricerca ENPAP dove si individuava il bisogno principale dei cittadini non nel risolvere forme patologiche ma nel supporto di fronte alle precarietà (futuro incerto, impotenza, insufficienza, insicurezza, solitudine), difficoltà clamorosamente esacerbate dall’emergenza COVID-19. Alla luce di questi dati risulta altamente prevedibile che l’approccio dei dipartimenti di salute mentale non sia quello corretto durante questa emergenza.
Oltre alle associazioni e istituzioni ci siamo trovati di fronte a una marea di liberi professionisti che si sono attivati autonomamente pubblicando sui social i propri servizi. Moltissimi hanno offerto i servizi di supporto psicologico a titolo gratuito nel momento dell’emergenza pensando di fare qualcosa di utile per la comunità.
Sebbene l’intento sia lodevole, ho notato che l’accesso completamente gratuito proposto in un contesto non coordinato e non inserito in una rete di professionisti e non presidiato da alcuna istituzione rischia di essere frainteso con un volontariato destrutturato che non permette all’utente di distinguere le buone pratiche dall’improvvisazione, con il rischio di svilire la professione.
In psicologia il corrispondere un onorario non è soltanto un contributo delle spese sostenute dal professionista ma significa anche porre impegno, dedizione e fa volgere a un più probabile esito positivo del supporto/psicoterapia.
Gli psicologi liberi professionisti avrebbero bisogno di un istituto di riferimento capace di rappresentarli e coordinarli in caso di necessità. Uno di questi istituti potrebbe essere proprio l’Ordine professionale che però non ha questa funzione tra i suoi compiti istituzionali. Rimangono le società scientifiche ma, come abbiamo visto, hanno un raggio d’azione limitato.
Conclusione
Gli ordini professionali non hanno alcuna funzione utile in questo panorama e non gli è data dalla legge che li istituisce.
In pratica, il sistema generale sarebbe tutto da ripensare per poter essere efficace, fornire servizi utili ai cittadini e finalmente dare alla psicologia il valore che merita e che già gli attribuiscono i cittadini.
Condivido pienamente.
Analisi lucida e condivisibile
Trovo importante fare la distinzione tra la cura di forme patologiche e il supporto di fronte alle precarietà, dal futuro incerto, alla solitudine, all’insicurezza, all’impotenza, all’insufficienza. Sono d’accordo in lavorare per creare una struttura che risponda in modo autorevole e coordinato al bisogno di supporto psicologico dei cittadini.