EMDR, Mindfulness, Acceptance and Commitment Therapy (ACT), Schema Therapy, Coaching ecc. Sono sempre più presenti pubblicità per essere “certificati” all’uso della tecnica. Chiariamo la loro reale utilità e cosa ci dovremmo aspettare dai nostri ordini.
In questi anni le certificazioni sono aumentate e proposte sempre più insistentemente. Ad esempio, per citare la più famosa, c’è la certificazione EMDR, che è un metodo (e non una tecnica) che ha al suo interno la tecnica dell’Alternating Bilateral Sensory Stimulation (ABS), ma anche la certificazione per il metodo Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) che usa la tecnica della Mindfulness oppure la certificazione per il “coaching”.
Sulla rivista “Psicoterapia Cognitiva e Comportamentale” (numero 25/2) Paolo Moderato e Francesco Mancini aprono un dibattito su “certificazioni e patentini in psicoterapia”. L’occasione è ottima non solo per chiarire definitivamente il valore e l’utilità delle certificazioni, ma anche per interrogarci sul ruolo delle nostre istituzioni rispetto a questi argomenti.
Il contesto in cui prosperano patentini e certificazioni private per psicologi è molto interessante. Per una serie di motivi culturali, amministrativi e professionali l’Italia si distingue per essere la nazione a elevata densità di psicologi (se ne contano più di centomila). Se a questa numerosità aggiungiamo la necessità professionale dello psicologo di apprendere continuamente e a tenersi aggiornato, otteniamo un mercato molto interessante nella formazione per psicologi.
Non per ultimo, se consideriamo che la formazione di base universitaria infarcisce di concetti e assunti teorici fornendo pochi strumenti e abilità concrete da utilizzare nella professione, allora il mercato di “prodotti per psicologi” risulta assai ghiotto. Quale nazione migliore per far sbarcare e vendere le certificazioni?
Le certificazioni servono a dimostrare di aver svolto un percorso di formazione strutturato e identico per tutti. Il percorso è ideato per poter apprendere e utilizzare un metodo o una tecnica. Come la certificazione dell’impianto elettrico definisce che l’impianto è “a norma”, cioè rispetta determinati criteri condivisi dagli esperti in materia, così la certificazione in una qualche tecnica psicologica stabilisce che lo psicologo ha seguito un percorso “a norma” cioè un percorso riconosciuto utile dagli esperti della tecnica per applicarla propriamente.
Le differenze di valore tra le varie certificazioni si ritrovano nelle leggi. Infatti, possono esserci delle leggi che richiedono delle certificazioni (come la certificazione energetica nella compravendita di una casa), in questo caso la certificazione diviene necessaria.
In Italia, l’insegnamento è libero per l’art. 33 della Costituzione. Le restrizioni, infatti, non sono nell’insegnamento ma nell’abilitare a utilizzare quanto appreso. In altre parole, è possibile insegnare la psicologia e le sue tecniche, ma non è possibile abilitare qualcuno o accreditare i non psicologi a utilizzare le tecniche psicologiche.
Non vi può essere esclusività nell’insegnamento dei metodi e delle tecniche scientifiche, nessuna associazione può rivendicare il diritto di insegnamento di specifici metodi e tecniche psicologiche.
Le certificazioni di associazioni private non hanno valore legale e neppure possono vincolare l’uso delle tecniche psicologiche.
Nel nostro paese, potenzialmente tutti gli psicologi potrebbero utilizzare metodi e tecniche psicologiche come EMDR, MBSR, Schema Therapy ecc. senza essere in possesso di nessun certificato.
Per gli psicologi, l’unico vincolo reale e fondamentale nell’utilizzo delle tecniche è dato dall’articolo 5 del nostro codice deontologico.
A fronte di queste riflessioni è possibile ampliare il perimetro del discorso e porci delle questioni sulla nostra professione.
Non è un caso che sia stata la rivista cognitiva e comportale a porre il tema delle certificazioni, perché è proprio in questo ambito che si sente maggiormente la necessità di avere “tecniche” psicologiche altamente strutturate, per essere replicabili e avere la possibilità di essere studiate come basate sull’evidenza (“evidence based”).
Le certificazioni di tecniche e metodi psicologici oltre a proliferare, sembrano assumere un marketing sempre più aggressivo. Questo perché la certificazione risolve quello che gli psicologi forse non hanno trovato durante gli studi universitari, ovvero l’applicazione pratica dei principi psicologici con modalità predeterminate e di facile implementazione (basta seguire la procedura).
Nel momento in cui la formazione, e quindi l’utilizzo delle tecniche, sembra sia vincolata come proprietà esclusiva di associazioni e dei loro appartenenti, che si dicono gli unici che possono rilasciare le certificazioni, oppure quando si crede che per utilizzare la tecnica è necessario e obbligatorio conseguire la certificazione, sorge confusione e nasce il problema con il suo successivo dibattito.
Infatti, considerando che solo la psicoterapia è l’unico riconosciuto avanzamento di competenze dello psicologo, le certificazioni di metodi e tecniche psicologiche hanno la possibilità di muoversi in immense praterie lasciate libere da una normativa della professione risalente a 30 anni fa. In un mondo che conosce un’evoluzione rapidissima di tecniche, tecnologia, supporti, modalità di interazione, mercato del lavoro, necessità della popolazione ecc. la professione di psicologo è ancora ferma all’era prima dei telefoni cellulari.
Analisi completa,approfondita,interessante,utile.
Complimenti !
Infatti in Italia le scuole di specializzazione psicoterapeutica valide sono poche e sono quelle ad indirizzo analitico le altre servono agli psicologi che vogliono fare supporto psicologico. Inoltre l”eccessiva tecnica psicologica di non provata validità rischia di confezionare diagnosi sbagliate o addirittura disturbi inesistenti per una pericolosa medicalizzazione specialmente dei bambini spesso vittime di prescrizioni selvagge di farmaci dannosi come sostengono molti psichiatri spagnoli coordinati da Juan Pundik