L’ultimo report dell’ISTAT sulla salute mentale riporta dati interessati sulla salute mentale e le conseguenze che ansia e depressione possono avere sull’attività lavorativa, restituendoci un quadro desolante.
Il 26 luglio è stato pubblicato il report dell’ISTAT dal titolo “la salute mentale nelle varie fasi della vita”, all’interno del quale possiamo trovare dei dati molto interessanti che ci possono far riflettere sullo stato dell’arte delle varie cure messe in atto dallo Stato, dai privati e dalle aziende.
In Italia viene stimato che il numero di persone con un problema di depressione supera i 2,8 milioni, cioè il 5,4% dei cittadini con più di 15 anni. La metà dei casi di depressione è associato anche al disturbo cronico di ansia grave, disturbo che colpisce 2,2 milioni di persone (4,2% della popolazione con più di 15 anni).
Depressione e ansia cronica si manifestano maggiormente nella popolazione anziana oltre i 65 anni di età (e in Italia ne abbiamo parecchia). Questo dato dovrebbe far riflettere sulla qualità di vita degli anziani e sulle modalità di pensionamento che possono incidere sulla salute mentale negli anni successivi.
Questo dato porta a delle considerazioni importanti sulle modalità di cura necessarie. Infatti, chi ha un reddito più basso avrà anche maggior difficoltà nel permettersi delle cure private. Di conseguenza, risulta chiaro che i problemi depressivi e di ansia cronica grave dovranno essere in carico al Sistema Sanitario Nazionale per poter raggiungere con le cure e la prevenzione chi ne ha veramente bisogno.
Inoltre, nei centri di salute mentale il personale è occupato prevalentemente da pazienti “più gravi” con disturbi dello spettro psicotico. Come si legge dallo stesso report, ai Dipartimenti di Salute Mentale si sono rivolti 8oomila persone (e i depressi risultano 2,8 milioni) e i disturbi più diagnosticati sono proprio le schizofrenie e altri disturbi psicotici.
Sembra che il nostro SSN non sia in grado di far fronte alla salute mentale della popolazione; le persone affette da depressione o ansia cronica grave sono proprio coloro che hanno più difficoltà ad accedere a cure private e che, forse, sono anche quelle meno in grado di individuare un percorso adeguato di cura se questo non gli viene proposto. I disturbi ansiosi e depressivi non sono trattati da specialisti, molto spesso si rivolgono al medico di base.
Nel report viene confermato l’ “effetto lavoratore sano”, ovvero ansia e depressione sono più presenti nella condizione di mancanza di lavoro rispetto a chi ha un lavoro (risultano depressi o ansiosi il 10,8% degli inattivi e l’8,9% dei disoccupati e 3,5% degli occupati). Chi lavora è già più in salute di chi non lavora. Ma non è tutto.
E questo si ripercuote sui costi aziendali: chi è soggetto a depressione o ansia cronica grave riporta una notevole minor efficienza lavorativa. Chi ha un disturbo mentale di questo tipo soffre di limitazioni importanti nella propria vita lavorativa e, questi lavoratori hanno una minor capacità di concentrazione (57,4%) e minor resa (57,7%) rispetto a quelli con qualsiasi altro disturbo.
Le conseguenze sono esplicitate nel grafico qui sotto riportato.
I lavoratori che soffrono di depressione o ansia cronica grave hanno un numero medio di giorni di assenza dal lavoro che è il triplo (18 gg) rispetto al totale degli occupati (5 gg). Rispetto a qualsiasi altra malattia cronica, anche malattie fisiche, la depressione e l’ansia producono un maggior numero di giorno di assenza per malattia.
Non a caso, come riportato anche da Layard & Clark nel volume Thrive – The power of psychological therapy (2014), il disagio psicologico è considerato dai pazienti molto più doloroso del dolore fisico e risulta molto più invalidante.
In Inghilterra lo hanno messo in pratica con il programma Improving Access to Psychological Therapies (IAPT; Layard &Clark, 2014). Il programma prevede un sistema pubblico in cui la popolazione accede a terapie ‘evidence based’, che comprendono non solo l’approccio cognitivo-comportamentale, ma anche altri approcci dinamici brevi, la terapia di coppia, la terapia interpersonale e il counseling per la depressione. Il programma ha anche previsto una formazione ai terapeuti sui protocolli evidence-based e un sistema di valutazione e intervento.
Sul lavoro, invece, le aziende possono investire in sistemi di welfare e supporto al personale non solo per intercettare eventuali disagi che possono creare difficoltà all’individuo e all’organizzazione stessa, ma anche per promuovere stili di vita e di pensiero psicologicamente sani.
Partendo proprio da queste riflessioni, tra le varie proposte per contrastare lo stress lavorativo e per incrementare il welfare utile ai dipendenti, ho strutturato anche la proposta per un servizio di supporto per il benessere psicologico in azienda (counseling aziendale).
Report di riferimento https://www.istat.it/it/archivio/219807
La psicoterapia e’ efficace, ma quali sono le condizioni di lavoro dei giovani psicologi?
qualche riflessione a latere dei miei post sui fattori socio-economici di ieri..
La psicoterapia, anche se non sempre capace di incorporare riflessioni socioeconomiche nelle sue elaborazioni teoriche, rappresenta una risposta efficace ed efficiente al malessere e alla patologia mentale.
Molte sono le ricerche che ne dimostrano l’efficacia anche in termini di risparmio economico, ad esempio in termini di diminuzione delle spese sanitarie (ricoveri, medici, esami sanitari) (Migone, 2003, Migone Semerari, 2006). I giorni di ricovero annuali dei pazienti borderline trattati con la psicoterapia diminuiscono rispetto a quelli dei pazienti del gruppo di controllo. Senza considerare i vantaggi in termini di benessere psicologico, il risparmio economico può raggiungere per questi pazienti anche i 10.000 dollari all’anno (Linehan e colleghi, 1991), cifra ben più consistente se rapportata al costo della vita attuale.
Il recente studio di Moore e Crane (2013) si concentra sull’efficacia della psicoterapia relazionale con le coppie e le famiglie. Il loro studio si basa su un campione piuttosto ampio (3315 pazienti), iscritti ad un’assicurazione sanitaria statunitense (Cigna) trattati tra il 2001 e il 2006.
Nel campione oggetto dello studio, la terapia di coppia o le terapie familiari tendevano ad essere un percorso relativamente breve (5.36 sedute), con un costo medio di circa 279.64 dollari. La recidiva per questa popolazione è stata davvero bassa (solo l’8.43%) in un periodo di 6 anni. Inoltre, coloro che avevano fatto terapia di coppia o la terapia famigliare non accedevano al servizio per nessuna altra problematica psicologica.
Nel nostro Paese la psicoterapia tende tuttavia ad essere erogata in contesti privatistici, sollevando la questione dell’accessibilità economica della terapia stessa. Il nostro SSN sta privilegiando un approccio farmacologico perché richiede meno tempo e denaro misurabile in termini di ore di lavoro. A rispondere almeno in parte alla sempre maggiore richiesta di psicoterapia sono i terapeuti in formazione che prestano servizio nel SSN in veste di tirocinanti.
Dal punto di visto economico si tratta di una soluzione a basso costo per il SSN, ma con pesanti ricadute sugli psicologi psicoterapeuti che vengono considerati da Busso e Rivetti (2014), sociologi del lavoro, un “caso critico”.
Oltre all’’intersezione tra precarietà e formazione, due fenomeni che caratterizzano le forme di lavoro, o di non lavoro, contemporanee, nel caso degli psicologi psicoterapeuti, infatti, la fase iniziale della carriera rappresenta un momento critico in cui si fondono difficoltà materiali (conciliazione tra reddito, formazione e costruzione della carriera) e immateriali (deficit di riconoscimento del proprio ruolo all’interno della comunità professionale e dello status di lavoratore).
In particolare, rispetto alle difficoltà materiali concorrono l’assenza di borse di studio o aiuti analoghi durante la specializzazione e gli ingenti costi che i lavoratori in formazione devono sostenere.
Ci troviamo ancora una volta davanti ad un problema di accessibilità, questa volta declinata nei termini di accessibilità della formazione.
Gli psicoterapeuti, soprattutto quelli ancora in formazione, sono spesso costretti ad un “doppio binario” professionale. Da un lato il lavoro gratuito svolto durante il tirocinio e gli impieghi saltuari che caratterizzano i tentativi di accesso alla professione.
Dall’altro il lavoro retribuito in mansioni che sono spesso debolmente legate al proprio titolo e sulle quali non vi è un vero investimento.
Sono d’accordo sull’utilità del counsellig aziendale che può intercettare il disagio psicologico sul nascere, evitando che si cronicizzi.
Nn cambierà mai nulla , se hai i cash ti curi bene , sennò uno impazzisce e finisce nella psichiatria pubblica manicomio mascherato